Di anno in anno mi ritrovo a cercare di capire
come riuscirò a demolire il Natale, sempre simpaticamente e con tanto affetto;
ad essere sinceri, è meno difficile di quanto si possa pensare data l’assurdità
della ricorrenza, e non serve di certo il mio superato sarcasmo per farsi
quattro risate in proposito.
Mi chiedo cosa spinga milioni (miliardi?) di
persone ad aspettare un determinato giorno per passare un po’ di tempo in
compagnia di tutta una serie di altri esseri umani, generalmente odiati
detestati nel resto dell’anno, e soprattutto considerati da sempre esseri
inferiori.
I parenti e gli amici con cui ci si costringe
masochistivamente a cenare o pranzare nei giorni compresi fra il 24 Dicembre ed
il 1 Gennaio, generalmente hanno di noi la stessa considerazione che noi
abbiamo di loro, infatti ognuno preferirebbe festeggiare insieme ad una puzzola
ubriaca ed incontinente piuttosto che trovarsi seduto a quella tavola,
imbandita con quantità di cibo che farebbero impallidire un Bigfoot bulimico.
Il viaggio stesso che ci porta a quei pranzi è di
per sé un calvario e ci sentiamo pesanti, sempre più pesanti, tanto che ogni
passo fatto verso l’automobile, ogni gesto delle braccia per guidare ed ogni
singolo sforzo per aprire il cofano e prendere i pacchi con i regali diventano
gesti incredibilmente complicati e faticosi, e passiamo interminabili minuti a
pregare mentalmente, anche se siamo atei dal’età di cinque anni.
Pregare di essere fulminati o, chessò, investiti
da un fascio protonico che ci smaterializza e ci trasporta alla velocità della
luce verso una nuova dimensione, un salto a tanto tempo fa, in una galassia
lontana lontana….
Più passano gli anni, e più sfocano i ricordi
d’infanzia sulle feste natalizie, con un sacco di parenti allegri e mezzi
‘mbriachi che urlano a tavola, e i quintali di mandarini, le mandorle, i pacchi
regalo, le partite a carte fino a notte fonda.
“Anche io papà”
“no Robertino, tu sei piccolo”
“non sono piccolo!”
“va bene, però a mezzanotte vai a dormire.”.
Facevamo sempre le due, ed io tenevo duro pur di
restare sveglio e vedere chi vinceva un mucchio di soldi e chi invece si
vendeva anche le tende di casa per recuperare tutte quelle mani sfortunate a
sette e mezzo. Anzi, settemmezzo.
Sarà che la mia era una famiglia meridionale, e
quindi geneticamente tutti eravamo in grado di urlare ingoiando quintali di
cibo contemporaneamente, ma penso che il vero Natale fosse proprio quello lì,
di trent’anni fa, incasinato come un Bazar turco.
Tutto ciò che ne è seguito è il disfacimento della
magia, un continuo ripetersi di pallidi tentativi di recuperare, cosa?
La gioia.
Sì, la gioia di stare insieme, di mettere da parte
i problemi almeno per qualche giorno e dedicarsi solo ai preparativi, agli
acquisti, agli inviti eccetera eccetera,
Oggi ci sforziamo, come dicevo prima di questa
digressione freudiana (Freud, che poi si legge froid, ha inventato il lapsus
freudiano per giustificare gli effetti degli sballi da cocaina ai quali sottoponeva
il suo migliore amico), a passare del tempo in compagnia di persone per noi
ormai insignificanti, anche se sono le stesse di qualche anno prima con cui ci
si divertiva un sacco, e si beveva.
Allora, qual è il problema?
Perché a metà cena vorremmo mettere del cianuro
nei bicchieri dei nostri commensali ed aspettare con pazienza la fine dei loro
respiri per poi accendere la tv e guardare i video musicali vintage di Capital
TiVu?
Perché non siamo più capaci di fare battute di spirito
che scatenino una risata di massa?
Perché non abbiamo più il coraggio di proporre
giochi di società infantili ma divertentissimi, costringendo a partecipare perfino
gli esemplari più anziani presenti, anche se non ci capiscono una mazza e
credono di essere in ospedale durante l’ora di ricreazione?
Non saprei, forse ci siamo spenti.
Il meccanismo è diabolico, perché nell’imbarazzo
generale, nell’indifferenza, nell’apparente freddezza, provare a rompere il
ghiaccio è rischiare di essere additati come il solito pirla, quindi si
preferisce restare in silenzio, alimentando quella pesante atmosfera da lutto
natalizio.
Le battute andate a vuoto sono micidiali, lo so,
anche quando sei a teatro un pubblico indifferente ti piomba addosso come una
doccia ghiacciata.
E il vino?
Il vino aiuta, eccome, ne basterebbe qualche
bicchiere in più per scaldare l’intera situazione, senza per questo doversi
ubriacare eccessivamente; il problema è che alzare il gomito da soli è la cosa
più triste che si possa immaginare, e l’unico modo per uscirne è procurarsi un
coma etilico, così da rovinare la festa a tutti e chiuderla lì.
Il vino aiuta, ma ciò che aiuta di più è la voglia
di berlo insieme, di darsi con generosità e sincerità, di ridere e far ridere,
di discutere anche animatamente ma con rispetto.. in vino veritas, ma questa
veritas dev’essere quella giusta, altrimenti si finisce a coltellate, o con una
vomitata storica in faccia al figlioletto del parente più odioso di tutti, che
riuscirà a rinfacciarvi l’episodio per molti decenni a venire.
Come se ne viene a capo?
Non so, sinceramente, e ogni anno è sempre peggio.
Questi pranzi natalizi o capodannini - neologismo
testè inventato dal sottoscritto - sono facili da catalogare, e il metodo è
semplicissimo:
festa sincera = fanno tutti tardi, c’è addirittura
chi si addormenta sul divano o occupa il letto dei padroni di casa;
festa ipocrita = beh s’è fatta una certa ora, ho
sonno, abbiamo un sacco di strada da fare, sono pieno, no il caffè no sennò non
dormo più, grazie e mi raccomando eh..
Mi raccomando.. cosa?!
Questa cazzo di frase ha un numero pressoché
illimitato di interpretazioni:
- mi raccomando, strozzati tu e il tuo polpettone;
- mi raccomando, i bambini la prossima volta passali
sul gas ‘chè m’hanno scassato i timpani stasera;
- mi raccomando, se hai ancora bisogno di uno che ti
aiuti a fare i mestieri prima e dopo aver cenato, non chiamarmi e cerca qualcun
altro;
- mi raccomando, in futuro cerca di spendere non
meno cinque euro per una bottiglia di vino che sia commestibile e consona alla
situazione;
- mi raccomando, non invitare più quel tuo cugino di
settimo grado e sua moglie perché sono le persone più antipatiche della Via Lattea;
- mi raccomando, la prossima volta mettici i soldi
nel mio regalo che delle tazzine da tè non me ne faccio un cazzo;
- mi raccomando, non mangiare che sei ingrassato
come un tricheco e stai perdendo anche i capelli per lo sforzo di trattenere la
panza dentro ai pantaloni;
- mi raccomando, se servi l’antipasto, il primo, il
secondo e il dolce, non te ne uscire più con l’altro primo che avevi lasciato
in forno a scaldare, perché già quella torta al limone della Cameo faceva
cagare, se poi ci metto sopra il gusto del maccherone col sugo di funghi e
aglio selvatico la prossima volta finisce che ti vomito la bile sulla tovaglia
nuova nuova appena comprata alla Gran Casa per l’occasione d’oro;
- mi raccomando, se dopo questa cena cerchi di
spararti, prendi bene la mira;
- mi raccomando, ci vediamo l’anno prossimo, nel
frattempo cancella il mio numero dalla rubrica telefonica, ti chiamo io.
Chissà, forse questa sera, proprio mentre sto
scrivendo, sono lievissimamente inquieto e insofferente, forse sto invecchiando
e come tutti i vecchi odio la gente che mi circonda, forse le cose stanno come
dico io e molti di voi fra una risatina e l’altra stanno pensando “azz ha
appena descritto la mia cena di Natale”.
Il fatto è che il Natale, il Capodanno e tutti i
giorni che stanno in mezzo mi obbligano a ricordare persone e situazioni alle
quali non vorrei pensare, e mi sento come un contadino ribelle obbligato da una
camicia nera a bere olio di ricino.
Un litro, grazie.
L’olio di ricino non mi piace, è inutile che tutti
dicano “mmm che buono” “senti che sapore fruttato” “caspita come scende bene in
gola”: non mi piace punto e basta.
Tanto, se mi obbligate a bere litri di olio di
ricino mi troverò costretto a reagire nell’unico modo in cui un umano può
reagire bevendo olio di ricino: cagare.