Credo che ribellarsi sia qualcosa di più che andare in piazza, protetti dalla massa.
Credo che ribellarsi voglia dire sfidare il sistema quotidianamente, 24 ore su 24, prendere coscienza di se' e di ciò che piace o non piace, al di là della cultura imposta, al di là dei legami affettivi, al di là delle convenienze.
Credo che ribellarsi voglia dire avere il coraggio delle proprie idee, avendo la lucida consapevolezza che, in questo modo, si perdono occasioni, amicizie, familiari, lavori.
Credo che ribellarsi sia una via del non ritorno, una sottile linea rossa che quando scavalchi oramai non riesci a scavalcare una seconda volta per tornare indietro.
Credo che ribellarsi voglia dire svegliarsi con l’odore di anarchia sulla pelle, ed andare a letto a fine giornata con lo stesso identico odore.
Credo che ribellarsi sia una specie di autoesclusione, in un mondo di individui che, come detto prima, fanno massa: siano essi assuefatti oppure attivi ed informati, senza il coraggio del singolo e se riuniti in branco, allora sempre di massa si tratta.
Credo che ribellarsi sia ne' giusto ne' sbagliato, così come il non ribellarsi, ma sia solo una condizione individuale privilegiata, da non confondere con l'essere semplicemente estroversi.
Credo che ribellarsi sia la capacità di guardare negli occhi un religioso, uno psichiatra, un emerito docente, un genitore, e chiunque altro stia cercando di indottrinarti con la sua stanca ed ammuffita cultura autoreferenziale, e dirgli “Hey, vaffanculo”.
Credo che ribellarsi voglia dire ribellarsi.
1 commento:
Sono d'accordo, Roberto. Mica facile però! :-) Tu ci riesci a ribellarti?
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