E così, si rientra in ufficio.
“passato bene il Natale?”, certo che l’ho passato bene, per il semplice motivo che ho dormito quattro giorni di fila.
Il nuovo anno sta per cominciare, ed io mi sforzo di non cedere alla pressione psicologica imposta da un banalissimo calendario, ma è più forte di me, e vince l’ansia.
Quel sottile stato d’animo, che mi dice quanto saranno difficili i mesi a venire, quella speranza di realizzare i miei sogni, e ne ho molti, che si assottiglia sempre di più ma non vuole assolutamente morire. Quell’amara consapevolezza di essere ancora solo.
Per “solo” intendo spiritualmente solo, oltre che fisicamente. Esiste qualcuno con cui posso condividere davvero i miei pensieri contorti, perché questo qualcuno sembra essere come me; ma è un molto lontano, e lo sarà anche di più, fra qualche tempo, per via di una “trasferta” di studio.
La distanza è una specie di costante universale nella mia vita: è la costante “D”.
Complicità + amicizia + sessualità = nuova splendida voglia d’amare.
Complicità + amicizia + sessualità + D = solitudine.
Devo cambiare equazione.
Le telefonate, i messaggini, le lettere.. sì, tutto questo è positivo; anche ricevere un libro in regalo e non per natale, ma un giorno a caso, è bello, anzi bellissimo visto che il libro in questione è praticamente adiacente alla mia personalità ("L'elogio della follia" di Erasmo da Rotterdam), ma resta un inequivocabile dato di fatto: la distanza.
Esiste, oggi, anche chi provo ad intravedere come batticuore ritrovato ma, ovviamente, la costante D è sempre lì, e varia in modo significativo il risultato della somma generale.
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Mi rendo conto di come sia cambiato negli anni, e di quanto abbia già superato la linea del non ritorno; oramai cerco solo sincerità e schiettezza, e mi scontro con le molteplici fragilità delle persone che mi circondano, oltre che con le mie.
Sono sincero e schietto perfino con me stesso e, assurdo a dirsi, spesso la cosa mi fa male, ma so che è la strada giusta; avrei tanto voluto stringere i denti e sopportare la mia insistente voce interiore quando le cose non andavano più bene con M., come fanno tanti, ed oggi forse avremmo superato il momento di crisi.
Oggi forse vivrei ancora in quella casa accogliente che tanto ho amato.
Già.
Oramai, però, mi è praticamente impossibile non ascoltare quella mia voce interna, quella che mi dice: Rò, guarda che non sei più te stesso, riprenditi la tua vita.
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Ma chi sono veramente, io?
Roberto serio, in giacca e cravatta, che parla di politica o di soluzioni per la società in cui vive?
Roberto allegro e disinvolto, che si sente a suo agio in una festa dove non conosce nessuno, ed è il primo che si mette a ballare?
Roberto poeta, che scrive e poi magari recita brani profondi, dai risvolti sempre originali?
Roberto duro e cinico, che fa piangere le persone che lo circondano?
Roberto che aiuta le persone che gli stanno intorno, che le cambia, le valorizza il più possibile?
Roberto che “da quando ti conosco mi accetto di più perché sei capace di farmi vedere le cose belle di me”?
Roberto che cambia sempre casa e lavoro?
Roberto che ti manda affanculo alla velocità della luce?
Oppure Roberto diplomatico che cerca sempre di mediare le posizioni?
Semplicemente “Rò”?
Allora, chi sono io?
Roberto sincero, questo sì. Lo so, mi dico spesso che mentire non porta a nulla, anzi se è possibile peggiora la vita.
Forse sono troppo attento alle persone che mi circondano, talvolta ne assorbo i disturbi, e la mia mente vacilla, come in questo periodo: com’è possibile che persone diverse abbiano pareri diametralmente diversi di me? Che io sia una specie di dott. Jekyll e Mr. Hyde?
Chi di loro ha ragione o, almeno, si avvicina alla verità?
Una parte di me, quella predominante per fortuna, mi dice “tu sei tu, sai bene qual è la verità, se gli altri ti dipingono in modo diverso, il problema è solo loro”.
Io so che quando mi soffermo a guardare un ragnetto che tesse la tela mi commuovo, che carezzo ogni cane che incontro, che aiuto le persone di nascosto, e senza volere nulla in cambio.
Io lo so. Perché lo scrivo su un blog, poi?
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Un’altra cosa che so, è che ogni principio morale che mi è stato impartito s’è sgretolato, schiacciato dalla menzogna della mia cultura, e che oggi vivo secondo una mia morale.
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“Addestriamo dei ragazzi a sganciare Napalm sulla gente, ma i loro comandanti non vogliono che scrivano "cazzo" sugli aerei perché è una parola oscena”, questa battuta è recitata da Marlon Brando in Apocalypse Now, e mi sembra la perfetta sintesi del mio senso di rigetto verso questa pseudo cultura in cui galleggiamo.
Ecco chi sono io: sono il colonnello Kurtz, uscito dai ranghi, che rifiuta la promozione a Generale, che sparisce dalle missioni in Vietnam e si spinge fino alla Cambogia, che crea un nuovo regno, dove uomini di ogni nazione si uniscono a lui. Il colonnello Kurtz che legge poesie ad alta voce, ma è pronto a tagliare una testa quand’è necessario.
Sì, ho capito chi sono.
Io sono il carismatico personaggio dell’unico film che sono in grado di interpretare.