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martedì 31 dicembre 2013

(ANSA, 30 Dicembre 2013)
"Sono un vecchietto, ma non posso permettermi di finire la mia avventura umana, di uomo di impresa, di sport e di Stato, da perdente. Per questo mi butteró nella 'follia' (dei club Forza Silvio, ndr) con tutte le energie di cui sono ancora capace per dare al mio Paese un governo liberale che garantisca tutti quei diritti che oggi non sono garantiti".

Forza, siamo alle porte del 2014, forse dobbiamo sopportare queste cazzate per l'ultimo anno.

venerdì 27 dicembre 2013

So merry christmas and happy new year. 'Nartra vorta.


Di anno in anno mi ritrovo a cercare di capire come riuscirò a demolire il Natale, sempre simpaticamente e con tanto affetto; ad essere sinceri, è meno difficile di quanto si possa pensare data l’assurdità della ricorrenza, e non serve di certo il mio superato sarcasmo per farsi quattro risate in proposito.
Mi chiedo cosa spinga milioni (miliardi?) di persone ad aspettare un determinato giorno per passare un po’ di tempo in compagnia di tutta una serie di altri esseri umani, generalmente odiati detestati nel resto dell’anno, e soprattutto considerati da sempre esseri inferiori.
I parenti e gli amici con cui ci si costringe masochistivamente a cenare o pranzare nei giorni compresi fra il 24 Dicembre ed il 1 Gennaio, generalmente hanno di noi la stessa considerazione che noi abbiamo di loro, infatti ognuno preferirebbe festeggiare insieme ad una puzzola ubriaca ed incontinente piuttosto che trovarsi seduto a quella tavola, imbandita con quantità di cibo che farebbero impallidire un Bigfoot bulimico.
Il viaggio stesso che ci porta a quei pranzi è di per sé un calvario e ci sentiamo pesanti, sempre più pesanti, tanto che ogni passo fatto verso l’automobile, ogni gesto delle braccia per guidare ed ogni singolo sforzo per aprire il cofano e prendere i pacchi con i regali diventano gesti incredibilmente complicati e faticosi, e passiamo interminabili minuti a pregare mentalmente, anche se siamo atei dal’età di cinque anni.
Pregare di essere fulminati o, chessò, investiti da un fascio protonico che ci smaterializza e ci trasporta alla velocità della luce verso una nuova dimensione, un salto a tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana….

Più passano gli anni, e più sfocano i ricordi d’infanzia sulle feste natalizie, con un sacco di parenti allegri e mezzi ‘mbriachi che urlano a tavola, e i quintali di mandarini, le mandorle, i pacchi regalo, le partite a carte fino a notte fonda.
“Anche io papà”
“no Robertino, tu sei piccolo”
“non sono piccolo!”
“va bene, però a mezzanotte vai a dormire.”.
Facevamo sempre le due, ed io tenevo duro pur di restare sveglio e vedere chi vinceva un mucchio di soldi e chi invece si vendeva anche le tende di casa per recuperare tutte quelle mani sfortunate a sette e mezzo. Anzi, settemmezzo.
Sarà che la mia era una famiglia meridionale, e quindi geneticamente tutti eravamo in grado di urlare ingoiando quintali di cibo contemporaneamente, ma penso che il vero Natale fosse proprio quello lì, di trent’anni fa, incasinato come un Bazar turco.
Tutto ciò che ne è seguito è il disfacimento della magia, un continuo ripetersi di pallidi tentativi di recuperare, cosa?

La gioia.

Sì, la gioia di stare insieme, di mettere da parte i problemi almeno per qualche giorno e dedicarsi solo ai preparativi, agli acquisti, agli inviti eccetera eccetera,
Oggi ci sforziamo, come dicevo prima di questa digressione freudiana (Freud, che poi si legge froid, ha inventato il lapsus freudiano per giustificare gli effetti degli sballi da cocaina ai quali sottoponeva il suo migliore amico), a passare del tempo in compagnia di persone per noi ormai insignificanti, anche se sono le stesse di qualche anno prima con cui ci si divertiva un sacco, e si beveva.
Allora, qual è il problema?
Perché a metà cena vorremmo mettere del cianuro nei bicchieri dei nostri commensali ed aspettare con pazienza la fine dei loro respiri per poi accendere la tv e guardare i video musicali vintage di Capital TiVu?
Perché non siamo più capaci di fare battute di spirito che scatenino una risata di massa?
Perché non abbiamo più il coraggio di proporre giochi di società infantili ma divertentissimi, costringendo a partecipare perfino gli esemplari più anziani presenti, anche se non ci capiscono una mazza e credono di essere in ospedale durante l’ora di ricreazione?
Non saprei, forse ci siamo spenti.
Il meccanismo è diabolico, perché nell’imbarazzo generale, nell’indifferenza, nell’apparente freddezza, provare a rompere il ghiaccio è rischiare di essere additati come il solito pirla, quindi si preferisce restare in silenzio, alimentando quella pesante atmosfera da lutto natalizio.
Le battute andate a vuoto sono micidiali, lo so, anche quando sei a teatro un pubblico indifferente ti piomba addosso come una doccia ghiacciata.

E il vino?

Il vino aiuta, eccome, ne basterebbe qualche bicchiere in più per scaldare l’intera situazione, senza per questo doversi ubriacare eccessivamente; il problema è che alzare il gomito da soli è la cosa più triste che si possa immaginare, e l’unico modo per uscirne è procurarsi un coma etilico, così da rovinare la festa a tutti e chiuderla lì.
Il vino aiuta, ma ciò che aiuta di più è la voglia di berlo insieme, di darsi con generosità e sincerità, di ridere e far ridere, di discutere anche animatamente ma con rispetto.. in vino veritas, ma questa veritas dev’essere quella giusta, altrimenti si finisce a coltellate, o con una vomitata storica in faccia al figlioletto del parente più odioso di tutti, che riuscirà a rinfacciarvi l’episodio per molti decenni a venire.

Come se ne viene a capo?
Non so, sinceramente, e ogni anno è sempre peggio.
Questi pranzi natalizi o capodannini - neologismo testè inventato dal sottoscritto - sono facili da catalogare, e il metodo è semplicissimo:
festa sincera = fanno tutti tardi, c’è addirittura chi si addormenta sul divano o occupa il letto dei padroni di casa;
festa ipocrita = beh s’è fatta una certa ora, ho sonno, abbiamo un sacco di strada da fare, sono pieno, no il caffè no sennò non dormo più, grazie e mi raccomando eh..


Mi raccomando.. cosa?!

Questa cazzo di frase ha un numero pressoché illimitato di interpretazioni:

  • mi raccomando, strozzati tu e il tuo polpettone; 
  • mi raccomando, i bambini la prossima volta passali sul gas ‘chè m’hanno scassato i timpani stasera; 
  • mi raccomando, se hai ancora bisogno di uno che ti aiuti a fare i mestieri prima e dopo aver cenato, non chiamarmi e cerca qualcun altro; 
  • mi raccomando, in futuro cerca di spendere non meno cinque euro per una bottiglia di vino che sia commestibile e consona alla situazione; 
  • mi raccomando, non invitare più quel tuo cugino di settimo grado e sua moglie perché sono le persone più antipatiche della Via Lattea; 
  • mi raccomando, la prossima volta mettici i soldi nel mio regalo che delle tazzine da tè non me ne faccio un cazzo; 
  • mi raccomando, non mangiare che sei ingrassato come un tricheco e stai perdendo anche i capelli per lo sforzo di trattenere la panza dentro ai pantaloni; 
  • mi raccomando, se servi l’antipasto, il primo, il secondo e il dolce, non te ne uscire più con l’altro primo che avevi lasciato in forno a scaldare, perché già quella torta al limone della Cameo faceva cagare, se poi ci metto sopra il gusto del maccherone col sugo di funghi e aglio selvatico la prossima volta finisce che ti vomito la bile sulla tovaglia nuova nuova appena comprata alla Gran Casa per l’occasione d’oro; 
  • mi raccomando, se dopo questa cena cerchi di spararti, prendi bene la mira; 
  • mi raccomando, ci vediamo l’anno prossimo, nel frattempo cancella il mio numero dalla rubrica telefonica, ti chiamo io.

Chissà, forse questa sera, proprio mentre sto scrivendo, sono lievissimamente inquieto e insofferente, forse sto invecchiando e come tutti i vecchi odio la gente che mi circonda, forse le cose stanno come dico io e molti di voi fra una risatina e l’altra stanno pensando “azz ha appena descritto la mia cena di Natale”.
Il fatto è che il Natale, il Capodanno e tutti i giorni che stanno in mezzo mi obbligano a ricordare persone e situazioni alle quali non vorrei pensare, e mi sento come un contadino ribelle obbligato da una camicia nera a bere olio di ricino.

Un litro, grazie.

L’olio di ricino non mi piace, è inutile che tutti dicano “mmm che buono” “senti che sapore fruttato” “caspita come scende bene in gola”: non mi piace punto e basta.
Tanto, se mi obbligate a bere litri di olio di ricino mi troverò costretto a reagire nell’unico modo in cui un umano può reagire bevendo olio di ricino: cagare.

mercoledì 11 dicembre 2013

Marijuana libera in Uruguay

(ANSA, 11 dicembre 2013)

Il Senato uruguayano ha approvato in via definitiva il progetto di legge che prevede che sarà lo Stato a farsi carico della produzione, distribuzione e vendita della marijuana, dopo una lunga giornata di dibattito. 

Avendo capito che le lunghe giornate di dibattito al Senato saranno a base di marijuana, il Presidente José A. 
Mujica ha dichiarato “I dibattiti al Senato fanno bene alla democrazia, da oggi in poi ne faremo quattro alla settimana.”.

Il Governo Letta incassa la fiducia. Tiè.


(ANSA) - ROMA, 11 DIC



L'Aula della Camera ha confermato la fiducia al governo Letta approvando la mozione di maggioranza con 379 sì, 212 no e due astenuti.
Nel corso della serata, Letta e i suoi Ministri festeggeranno all’Alcatraz di Milano fino a notte fonda.
Ospite della serata: Tiziano Ferro.


“Perdono si quel che è fatto è fatto io però chiedo

Scusa regalami un sorriso io ti porgo una

Rosa su questa amicizia nuova pace si

Posa…”

lunedì 27 maggio 2013

(ANSA, 27 Maggio213)
''Io ho sempre combattuto la mafia, non posso stare nello stesso processo in cui c'e' la mafia. Chiederemo uno stralcio''. Lo ha detto l'ex ministro Nicola Mancino, prima dell'inizio dell'udienza sulla trattativa Stato-mafia..".

I mafiosi possono dormire finalmente tranquilli.

L'amore al Governo



Al festival di Cannes, la Palma d'oro và al film La vie d'Adele, che narra un'intensa storia d'amore lesbico (non priva di rapporti sessuali espliciti) fra due ragazze quindicenni.
Appresa la notizia, Enrico Letta ha guardato negli occhi Angelino Alfano e gli ha detto “Eh ragazzo, ci hanno fregato l’idea.”.
www.ansia.it

domenica 26 maggio 2013

Sangue



Viviamo in un mondo in cui un uomo può tagliare la testa ad altro un uomo e, impugnando ancora la mannaia grondante di sangue, restare indisturbato dalla gente che lo circonda mentre spiega davanti ad una videocamera i motivi di quel gesto.

È lo stesso mondo in cui un uomo si accascia, colpito a morte da un proiettile, davanti ai tornelli della metropolitana e la gente lo scavalca per prendere il treno ed evitare di fare tardi al lavoro.



Anche io conosco una storia.

Quando Franco, un uomo di mezza età che vive con sua moglie Anna e con il morbo di Parkinson, cercava di allontanare da se’ il fastidioso ricordo di strane crepe della sua mente, finiva sempre col prendere la sua bici per fare un giro in paese.

I paesi della riviera Romagnola a volte sanno sorprenderti per la loro positività, con i loro viali alberati, l’odore di salsedine che riempie dolcemente l’aria e i versi dei gabbiani, sempre inspiegabilmente agitati.

Franco pedalava, forse non consapevole di quanto fosse pericolosamente instabile la sua andatura, quando ad un certo punto qualcosa distrusse con violenza il suo momento libero.

La perdita di equilibrio, un rumore di ferraglia spezzata, il dolore lancinante alla gamba destra, fra il tendine della caviglia ed il polpaccio, dove si è conficcato un pezzo di telaio.

Sangue.

Sta uscendo molto sangue da quell’arteria, così tanto da formare un’inquietante pozza sull’asfalto, e Franco si alza in fretta per paura di farsi vedere; è terrorizzato, non sa come risolvere il problema senza coinvolgere i passanti (e senza chiamare alcuna ambulanza), allora prende la decisione più estrema: correre a casa prima di morire dissanguato.

Già, a casa, ma la casa è molto lontana e l’unico modo di arrivarci è accelerare il passo, non curandosi del sangue che esce a fiotti dalla sua gamba – e la bicicletta? Cosa faccio adesso? È distrutta, non posso portarla a casa così, l’ho sporcata tutta, Anna mi griderà sicuramente dietro.. devo lasciarla da quello che aggiusta le bici, lo conosco e non mi dirà niente. -.

L’uomo prova a correre verso “quello delle bici”, ma la malattia gli permette solo pochi e disorganizzati movimenti; la gente lo guarda senza reagire, anche se lui lascia una nuova pozza di sangue ad ogni singolo passo.

Lascia la bici da Luigi, il meccanico, che gli chiede subito se ha bisogno di un’ambulanza, ma lui non si ferma e continua la sua disperata corsa verso la sua meta; Luigi sottovaluta quella ferita e continua a lavorare convinto che, una volta giunto a casa, Franco riuscirà a medicarsi o a farsi medicare dalla moglie.

Roberto, incuriosito da uno strano brusio esterno, uscì dal suo negozio, e capì che un uomo stava perdendo sangue; facile da capire, alcuni passanti sono pietrificati dal terrore e, in lontananza, si vede un uomo senza scarpe che annaspa come un pesce d’acquario finito sul pavimento di casa.

Si diresse verso Luigi chiedendo spiegazioni, e Luigi gli rispose - chi? Franco? Ma no, lo conosco, non è successo niente di grave, fa sempre così.. probabilmente si è tagliato con un raggio della bicicletta.. eh, la sua malattia peggiora e non riesce più a fare movimenti coordinati...- -eh no, Luigi, quello s’è fatto davvero male, perde troppo sangue e guarda che colore hanno le pozze.. si tratta certamente di sangue arterioso e se non lo soccorrono in tempo la cosa finisce male!-.

Altre persone, forse lì per farsi aggiustare la bici, guardavano la scena, ma nessuno mosse un dito per intervenire.

Capendo, sconvolto, di essere l’unico a provare un briciolo di pietà per quell’uomo ferito, Roberto cominciò a rincorrerlo.

Franco era già sparito, ma non fu complicato seguirne le tracce, perché le macchie di sangue sull’asfalto diventavano sempre più fresche, sempre più grandi.

- Ehi, scusa, fermati! Fermati! Guarda che hai bisogno di un medico, aspetta.. per favore fermati che chiamo l’ambulanza, aspettami! - , - no, non ho bisogno, vai via, io vado a casa. -; le urla di Roberto tuonavano nel silenzio dei passanti, tutti fermi come figure di cartone, vili come iene, egoisti come solo l’uomo sa essere.

Roberto decise di chiamare i Carabinieri, che arrivarono dopo dieci interminabili minuti, e nel frattempo vide Franco estrarre un mazzo di chiavi ed entrare in una casa di cortile, la sua.

I negozianti, nonostante si consumasse quella scena drammatica proprio sotto ai loro occhi, uscirono con secchi d’acqua e scope per lavare le pozze di sangue, come se si trattasse di banali macchie lasciate dalla resina degli alberi; un gesto di routine, un gesto agghiacciante nella sua semplicità.

Anna raggiunse Roberto e, con un sorriso palesemente falso, gli disse – ciao, sei tu quello che ha accompagnato mio marito? - - non l’ho accompagnato, l’ho inseguito mentre scappava terrorizzato! - - beh volevo ringraziarti, ora puoi stare tranquillo è tutto a posto, gli ho messo un cerotto, è solo un graffio. - - solo un graffio? Lo seguo da mezzo chilometro, sai quanto sangue ha perso? Non è un graffio, si è squarciato la gamba! E comunque ho già chiamato i Carabinieri.. -.

I Carabinieri arrivarono e la donna ripeté anche a loro le stesse parole di un minuto prima, minimizzando fino al ridicolo la gravità della situazione; Roberto spiegò, invece, che l’uomo perdeva sangue da molto tempo ed indicò quelle macchie non ancora pulite dai negozianti.

Anna fulminò con gli occhi Roberto e gli intimò di stare zitto, anche in presenza dei due ufficiali.

- va bene, io me ne vado visto che il mio aiuto non serve - ; colto da improvvisa delusione e senso di sconfitta, Roberto si rivolse ai Carabinieri e pronunciò un sommesso – se avete bisogno di me sapete dov’è il mio negozio- -.



Nessun tutore della legge passò in quel negozio, e Roberto non seppe più nulla dell’uomo ferito.



Una storia di sangue, del resto, può finire soltanto con un ritorno percorso a piedi, segnato ad intermittenza da tracce rosse ed umide sull’asfalto.


Franco, Anna e Luigi sono nomi di fantasia.

La storia invece no, quella è reale. E Roberto sono io.