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domenica 26 maggio 2013

Sangue



Viviamo in un mondo in cui un uomo può tagliare la testa ad altro un uomo e, impugnando ancora la mannaia grondante di sangue, restare indisturbato dalla gente che lo circonda mentre spiega davanti ad una videocamera i motivi di quel gesto.

È lo stesso mondo in cui un uomo si accascia, colpito a morte da un proiettile, davanti ai tornelli della metropolitana e la gente lo scavalca per prendere il treno ed evitare di fare tardi al lavoro.



Anche io conosco una storia.

Quando Franco, un uomo di mezza età che vive con sua moglie Anna e con il morbo di Parkinson, cercava di allontanare da se’ il fastidioso ricordo di strane crepe della sua mente, finiva sempre col prendere la sua bici per fare un giro in paese.

I paesi della riviera Romagnola a volte sanno sorprenderti per la loro positività, con i loro viali alberati, l’odore di salsedine che riempie dolcemente l’aria e i versi dei gabbiani, sempre inspiegabilmente agitati.

Franco pedalava, forse non consapevole di quanto fosse pericolosamente instabile la sua andatura, quando ad un certo punto qualcosa distrusse con violenza il suo momento libero.

La perdita di equilibrio, un rumore di ferraglia spezzata, il dolore lancinante alla gamba destra, fra il tendine della caviglia ed il polpaccio, dove si è conficcato un pezzo di telaio.

Sangue.

Sta uscendo molto sangue da quell’arteria, così tanto da formare un’inquietante pozza sull’asfalto, e Franco si alza in fretta per paura di farsi vedere; è terrorizzato, non sa come risolvere il problema senza coinvolgere i passanti (e senza chiamare alcuna ambulanza), allora prende la decisione più estrema: correre a casa prima di morire dissanguato.

Già, a casa, ma la casa è molto lontana e l’unico modo di arrivarci è accelerare il passo, non curandosi del sangue che esce a fiotti dalla sua gamba – e la bicicletta? Cosa faccio adesso? È distrutta, non posso portarla a casa così, l’ho sporcata tutta, Anna mi griderà sicuramente dietro.. devo lasciarla da quello che aggiusta le bici, lo conosco e non mi dirà niente. -.

L’uomo prova a correre verso “quello delle bici”, ma la malattia gli permette solo pochi e disorganizzati movimenti; la gente lo guarda senza reagire, anche se lui lascia una nuova pozza di sangue ad ogni singolo passo.

Lascia la bici da Luigi, il meccanico, che gli chiede subito se ha bisogno di un’ambulanza, ma lui non si ferma e continua la sua disperata corsa verso la sua meta; Luigi sottovaluta quella ferita e continua a lavorare convinto che, una volta giunto a casa, Franco riuscirà a medicarsi o a farsi medicare dalla moglie.

Roberto, incuriosito da uno strano brusio esterno, uscì dal suo negozio, e capì che un uomo stava perdendo sangue; facile da capire, alcuni passanti sono pietrificati dal terrore e, in lontananza, si vede un uomo senza scarpe che annaspa come un pesce d’acquario finito sul pavimento di casa.

Si diresse verso Luigi chiedendo spiegazioni, e Luigi gli rispose - chi? Franco? Ma no, lo conosco, non è successo niente di grave, fa sempre così.. probabilmente si è tagliato con un raggio della bicicletta.. eh, la sua malattia peggiora e non riesce più a fare movimenti coordinati...- -eh no, Luigi, quello s’è fatto davvero male, perde troppo sangue e guarda che colore hanno le pozze.. si tratta certamente di sangue arterioso e se non lo soccorrono in tempo la cosa finisce male!-.

Altre persone, forse lì per farsi aggiustare la bici, guardavano la scena, ma nessuno mosse un dito per intervenire.

Capendo, sconvolto, di essere l’unico a provare un briciolo di pietà per quell’uomo ferito, Roberto cominciò a rincorrerlo.

Franco era già sparito, ma non fu complicato seguirne le tracce, perché le macchie di sangue sull’asfalto diventavano sempre più fresche, sempre più grandi.

- Ehi, scusa, fermati! Fermati! Guarda che hai bisogno di un medico, aspetta.. per favore fermati che chiamo l’ambulanza, aspettami! - , - no, non ho bisogno, vai via, io vado a casa. -; le urla di Roberto tuonavano nel silenzio dei passanti, tutti fermi come figure di cartone, vili come iene, egoisti come solo l’uomo sa essere.

Roberto decise di chiamare i Carabinieri, che arrivarono dopo dieci interminabili minuti, e nel frattempo vide Franco estrarre un mazzo di chiavi ed entrare in una casa di cortile, la sua.

I negozianti, nonostante si consumasse quella scena drammatica proprio sotto ai loro occhi, uscirono con secchi d’acqua e scope per lavare le pozze di sangue, come se si trattasse di banali macchie lasciate dalla resina degli alberi; un gesto di routine, un gesto agghiacciante nella sua semplicità.

Anna raggiunse Roberto e, con un sorriso palesemente falso, gli disse – ciao, sei tu quello che ha accompagnato mio marito? - - non l’ho accompagnato, l’ho inseguito mentre scappava terrorizzato! - - beh volevo ringraziarti, ora puoi stare tranquillo è tutto a posto, gli ho messo un cerotto, è solo un graffio. - - solo un graffio? Lo seguo da mezzo chilometro, sai quanto sangue ha perso? Non è un graffio, si è squarciato la gamba! E comunque ho già chiamato i Carabinieri.. -.

I Carabinieri arrivarono e la donna ripeté anche a loro le stesse parole di un minuto prima, minimizzando fino al ridicolo la gravità della situazione; Roberto spiegò, invece, che l’uomo perdeva sangue da molto tempo ed indicò quelle macchie non ancora pulite dai negozianti.

Anna fulminò con gli occhi Roberto e gli intimò di stare zitto, anche in presenza dei due ufficiali.

- va bene, io me ne vado visto che il mio aiuto non serve - ; colto da improvvisa delusione e senso di sconfitta, Roberto si rivolse ai Carabinieri e pronunciò un sommesso – se avete bisogno di me sapete dov’è il mio negozio- -.



Nessun tutore della legge passò in quel negozio, e Roberto non seppe più nulla dell’uomo ferito.



Una storia di sangue, del resto, può finire soltanto con un ritorno percorso a piedi, segnato ad intermittenza da tracce rosse ed umide sull’asfalto.


Franco, Anna e Luigi sono nomi di fantasia.

La storia invece no, quella è reale. E Roberto sono io.

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