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venerdì 4 gennaio 2008

A Rino Gaetano

Un altro come te.
Non so perchè mai dovrei rivolgermi proprio a te, che non sai neanche chi sono; probabilmente te ne stai sdraiato su un’amaca (o hamaca? Mah!) da qualche parte, sotto l’ombra di un albero, con la camicia sbottonata e un cappello che ti copre la faccia, mentre un cane ti gironzola intorno scodinzolando e cercando di farti giocare con lui.

Non so se ultimamente ti hanno aggiornato su come vanno le cose da queste parti, ma non preoccuparti, non è cambiato granché, quindi ti risparmio il telegiornale.
Ti divertirebbe molto la frenesia che ci siamo inventati, e alcuni nuovi gingilli che usiamo per comunicare; l’unione di queste due cose ha fatto nascere un nuovo linguaggio, in continua evoluzione… cià stasr ps a prendrt cn la my mccn prim dv fare la benz prò….tvumdb…ci stanno studiano su fior fiore di sociologi…
L’altro giorno mi sono fermato a guardare una ragnatela, mentre il padrone di casa tesseva ancora le ultime vie, beh mi sono emozionato, e un momento dopo pensavo a te, ce cerchi in cielo gli aironi ed il profumo bianco del giglio; e poi mi è venuta voglia di scrivere perché non posso vivere altrimenti, e sai esattamente di cosa parlo…
Non offenderti, non lo faccio apposta quanto uso parole che hai usato tu, è del tutto spontaneo, forse perché parlo lo stesso tuo linguaggio e come me chissà quanti altri, un linguaggio fatto di cani capaci di amare, di birre in lattina, di notti un po’ perverse e battelli sulle rive della Senna, di uva e di vino.
E ti chiedi se mai qualcuno ti capirà?
Ma Rino, siamo migliaia e migliaia come te, come Michele o’pazzo, come Lucia, come il saggio indiano e il caimano nero, e da quando te ne sei andato, credimi, siamo tutti figli unici.

D’Izzia Roberto (06/03/07, ore 12.25)


Ma il cielo è sempre più blu, Rino Gaetano

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