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venerdì 21 novembre 2008

La regola del contrappasso

Dante vagava sconvolto all’inferno dove, guidato e protetto dal suo maestro Virgilio, apprendeva con indicibile amarezza la regola del contrappasso.
Il suo sguardo terrorizzato cadde sull’anima un uomo ricurvo, schiacciato da un’enorme croce infuocata, che si trascinava lentamente senza una precisa meta. Accanto all’anima dannata, un’altra anima lo seguiva, apparentemente senza far nulla.
Preso da sgomento, il poeta volse uno sguardo verso il suo maestro che, intuendo il suo pensiero, lo anticipò:
Quell’anima è condannata per l’eternità a portare una croce infuocata. In vita fu un uomo spergiuro, arrogante, usò il proprio nome e quello di un dio per ottenere ricchezze, gloria, potere. Gettò fango sui diversi, si proclamò portatore di una razza superiore, permise a quelli della sua setta di commettere atti di violenza sui bambini, tacque su immensi crimini di guerra, favorì l’espansione di epidemie mortali, mascherando con l’etica un preciso disegno di distruzione di massa.”.

Dante, sconvolto, fece cenno di capire il motivo di una pena così drammatica.

Subito dopo, però, notò che la seconda anima vagava senza alcun fardello, allora rivolse il proprio dubbio al maestro: “E ditemi, o’ Maestro, a chi appartenne quell’anima, e in cosa consiste la sua punizione, ‘chè mi par libero di muoversi per ogni dove? “, “quell’anima” disse grave Virgilio, “appartenne ad uno degli uomini che in vita professava nella setta di cui ti parlavo prima, ed abusò di infanti.
La sua punizione è assistere per l’eternità l’anima di un Papa.

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